Ore 7, di un giorno qualsiasi, in una qualsiasi città.


I gelsomini addolciscono l’aria, il silenzio dell’asfalto canta i racconti di garruli merli.

Una bicicletta passa, lei con grandi occhiali scuri, il cestino rosso esplode di rose appena colte.
Il bar profuma di tortine di riso, del primo caffè servito al risveglio.

L’elettricità dell’auto la fa accostare piano ai muri possenti di una chiesa.
Trent’anni fa si sposò Margherita. Eravamo giovani, era estate, era Amore.

I finestrini dell’auto si chiudono all’unisono. Scende.
Camicia bianca, pantalone da riunione informale color carta da zucchero, mocassino estivo in tinta.
Un uomo pelato tradisce l’età, forse quaranta.

Un sorso di caffè inizia al nuovo giorno, lo sguardo si distrae, in attesa che l’uomo attraversi la strada.

Sarà caffè o cappuccio?
Nell’attimo in cui gli occhi spostano la curiosità di osservare meglio, l’uomo entra in chiesa.
In chiesa.
Lo stupore.
2022, giugno.
Fede.
Dura qualche minuto la sua Fede.
Una pace dipinta sul volto lo accompagna all’uscita.
Fede.

“Sono basita” le dico.
La cameriera sta innaffiando le palme che ristorano a mezzogiorno.
“Cosa succede?” mi chiede

“Un bell’uomo è entrato in chiesa.”
La cameriera mi guarda e tace.
“Ero convinta venisse al suo caffè per fare colazione. Invece è andato in chiesa. In chiesa.”

Restiamo in silenzio, i pensieri non escono.
Esce lo stupore di stupirsi.

2022, giugno.
Fede.

La cameriera allontana il vuoto tra di noi.

“Chissà che la gente ritorni un po’ alla volta ad avere un po’ di sentimento.”

“Già.”

Paola Pierobon