Un viaggio alfanumerico per imparare a lavorare

Era tutta rossa, con il cofano nero.

Quando mi chiedevano che auto fosse, rispondevo #acentododiciabarth, tutto d’un fiato. Abarth si scioglieva in bocca come un morso di zucchero filato. Ero orgogliosa di quel motore prepotente da 70 HP, del volantino in pelle, ereditati dal fratello maggiore.

Anni ottanta, account in una agenzia di pubblicità. Arrivò una telefonata da Settimo Milanese, un’azienda farmaceutica, nota nel settore oftalmico, chiedeva un incontro. Dovevano lanciare sul mercato un detergente.

Mercoledi 10 giugno ore 11:00.

“Pierobon vada lei, da sola. Io ho già un impegno.” mi disse il titolare creativo. Mi mise alla prova, senno di poi.

Un viaggio lungo, mi sentivo grande, la musicassetta girava, cantando con me. Navigando a vista, senza nessuna voce che suggerisse il percorso, arrivai in azienda. Una cattedrale in zona industriale, avrei preferito il deserto. Fui ascoltata.

Una segretaria mi accolse, in attesa dell’incontro: cortesia, caffè con un cioccolatino fondente, un bicchiere di acqua.

“Si accomodi, la stanno aspettando.”

Sala riunioni, mi dà il passo una responsabile di prodotto (mica sapevo che significasse, lo capii dopo). Direttore generale, quattro responsabili di prodotto, il responsabile della comunicazione, il responsabile marketing. Nessun tavolo ovale, li ricordo seduti a semicerchio, disposizione informale di accoglimento. Dopo i saluti e le presentazioni di rito, il direttore generale:

“Ci avete incuriosito come agenzia, può spiegarci chi siete e come lavorate?”

La frase non era proprio così, il senso sí, condito con nomi inglesi che non riuscivo nemmeno a tradurre. Feci una veloce zumata di occhi negli occhi di tutti, in attesa che mi uscisse una parola.

Zero. Muta. Non sapevo che dire. Non sentivo più le gambe, il viso era come fossi sotto il sole di agosto.

Decisi di dire la verità. Parole che riporto così come uscirono.

“Voi mi scuserete, ma io non sono in grado di rispondervi. Ho capito metà di quello che mi state chiedendo. Faccio l’account da poco più di un mese, credo sia meglio che vi ringrazi del tempo dedicato e vada via.”

Il direttore generale sorrise, mi fece portare un bicchiere di acqua, mi disse di stare serena. Mi chiamò per nome.

“Paola, apprezziamo la sua sincerità. Non si preoccupi, tutti abbiamo iniziato. Ha fame?”

“Tanta – risposi – sono partita presto per non arrivare in ritardo e non mi sono mai fermata.”

“Allora è nostra ospite a pranzo, prima deve mangiare, poi può ripartire.”

Feci colazione con loro, fu bellissimo, ero tra Persone, ci scambiammo appunti di vita, mi chiesero se volevo fare uno stage di sei mesi da loro per capire come funziona un’azienda. Ripartii, ero troppo giovane e inesperta per dire di sì.

Ci affidarono la campagna pubblicitaria di un intero anno, se ne occupò il direttore creativo, io al suo fianco per imparare. Uscimmo con la pagina su settimanali e riviste mensili specializzate, poi uno spot in televisione.

Il detergente per la cura della pelle aveva lenito anche me. Mi sentii pulita, libera da qualsiasi inutile tentativo di sedurre persone del mestiere. Avevo percepito a pelle che tutto ciò che mi era stato insegnato in famiglia era valido anche sul lavoro: l’onestà intellettuale, la lealtà, la franchezza, senza bleffare per dimostrare ciò che non si è.

Di fronte ad una situazione che non si riesce a gestire, meglio essere chiari, sinceri. Anche se, da allora, ne sono passati degli anni, i valori veri non cambiano e non devono cambiare. A testa alta, sempre, anche nella difficoltà! Anche a piedi, se occorre, senza numeri che sanno di zucchero filato.

Oggi quell’azienda è diventata un colosso, ha mantenuto il vecchio nome, inglobato nella nuova proprietà. Sono andata a guardarmi il sito.

Anche questa è storia, 1982-2021, non sono 112, ma 39.

Va bene così.

#workinwords #onesta #prova #valori #umilta