“Se non hai più voglia, lascia lì.”

Una volta almeno nella vita qualcuno lo ha detto ad un bimbo e per lui era una grande vittoria. Le posate smettevano di bisticciare tra loro, le matite non scarabocchiavano più, la tabellina del sette rimaneva incompiuta.
Era frutto di amorevole debolezza dei nonni, di esausto cedimento dei genitori a fine giornata.

Sottile, sinuosa, insinuante, marchiava la memoria anche dei piccoli distratti.

Mamma era pronta per uscire con papà.
Il raso di seta marron glacé si stendeva a fatica su seni prosperosi, impensabili con un giro vita da farfalla. La gonna a ruota, appena sotto il ginocchio, ondeggiava di bagliori cangianti, sotto le luci del lampadario in tinello.
Estasiata, osservavo sotto la tavola le mie pantofoline di panno rosso, sperando un giorno di indossare décolleté in tinta e in tessuto uguale al vestito. Come lei.

Occhi neri e un filo di rossetto pesca.
La piccola borsa nella mano sinistra bilanciava il piede destro, che teneva sempre un po’ in fuori.
Calli, pensavo. Posa, nella realtà.

Papà cacciatore sbuffava in silenzio, la cravatta, le scarpe lucide allacciate, un patimento.

Nel piatto il prosciutto crudo mi stava aspettando, poi Carosello, poi a nanna.
Mamma a teatro con papà. Carlo Goldoni, La locandiera.

Non mi piaceva la storia che il grasso del prosciutto era la parte più buona, che faceva bene alla salute; ero diventata abile intagliatrice di quei contorni che lasciavano una scia sul piatto.

Alle otto in punto arrivava Lino con la moglie, compagni di teatro.

“E quel grasso? Si mangia tutto.” Mi disse Lino.

“Non mi piace e poi la zia di Padova mi aveva detto che potevo lasciarlo lì.”

Lino guardò la dama in raso di seta e fui costretta a mangiare quella strisciolina bianca e viscida.

Anni sessanta, 2021. Sessant’anni di memoria, esistenza.

Il senno di poi vince sempre, per il prima bisogna applicarsi.

Le strade, i percorsi, le scelte di una vita hanno una parte edibile ora grassa, ora insipida, ora bruciata.
Non si altera il gusto, si accomoda e si aggiusta il percepito, senza lasciare lì, solo perché è fatica, è rifiuto ignorante, è superficialità assonnata.

Capita di deglutire a fatica, di sentire un peso sullo stomaco.
I personaggi del proprio desco, o teatro vivente cambiano, capi seri, amici fidati, colleghi o compagni di viaggio subdoli o generosi. I copioni o le ricette si aggiustano, si rileggono, si adattano ad un open space o alla cucina di un monolocale, ad un mare aperto, ad una montagna insidiosa.

Bisogna assaggiare per poter scegliere e sbagliare il meno possibile. Sia che si mangi da soli, sia che ci siano ospiti per tavole imbandite. Sul palco, l’illuminata Mirandolina ben sapeva come gestire il proprio ruolo e il proprio mestiere, il moderno concetto di autodeterminazione dell’individuo.

Vita reale o commedia teatrale, non si lasciano lì. Se non si apre il sipario, non si può sapere se il gran finale potrà essere di buon gusto.

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