Che ridere!
Ma si può?

I tratti del viso orientaleggianti, occhi neri appena curvati verso le tempie. La bocca, sproporzionata, si apriva a ghigno o a stupore, in base al momento. Era un uomo ferocemente autorevole, il modo in cui metteva la borsa sul tavolo riunioni stava ad indicare l’umore della giornata.

Una leggera cornice di capelli, riccioli scomposti da pianista della comunicazione, ingannava la calvizie incipiente. La erre, pronunciata alla francese, conferiva diversità di ruolo, non di origine; era piemontese.

Era uomo a senso unico, insegnava una volta, poi lasciava sbagliare.
“Ha preso appunti di ciò che ho detto?” “Ha letto bene la mia mail? La rilegga.”
Talmente preciso nel docere et administrare, che aveva sempre ragione lui: eravamo un gruppo di distratti cronici.
Era uomo giusto, plaudiva il successo, capiva un umano disagio, non faceva differenze tra le persone.

Il suo carisma di direttore giungeva all’apice quando i volti di tutti si illuminavano, una scarica di adrenalina invadeva i corpi, lacrime scendevano dagli occhi, a volte i sussulti diaframmatici erano ingestibili.
La magia di tutto ciò si chiamava, e sempre si chiamerà, risata.

Era lui che lasciava si spezzasse il silenzio imposto dal capo cartaceo nelle ore di lavoro: il capo aveva bisogno di concentrarsi. A nulla serviva una debole parete di cartongesso che aveva voluto per isolare il suo ruolo. Solo.

Le risate, l’allegria passa e si infila ovunque, come l’acqua, come il vento.
Ed erano caffè e mignon che spezzavano la mattinata, compleanni a scadenze fisse, o l’ultima barzelletta sentita in televisione. Era un inciampo sui fasci di fili che collegavano i computer, piuttosto che una delicata presa in giro di un errore di calcolo reiterato.

Ridere: unisce, trasforma in complici anche i più restii, allenta la timidezza di qualcuno, avvicina i corpi.
Sì, perché quando si ride, non si ha modo di controllare i gesti che l’anima – non il cervello –  comanda e ci si ritrova a cingere spalle, a darsi il cinque, fino ad abbracciarsi per confermare l’allegria.

E’ catarsi, è meglio di un’ora di palestra, o di otto giri dell’isolato.

Perché isolarsi a volte fa bene, ma molto più di frequente allontana, nasconde caratteri, crea false opinioni sugli altri.

Ridere fa bene, poi, contrariamente al sentire comune, si lavora meglio, anche più uniti.

Anche così nasce una squadra, un lavoro condiviso, condividendo risate.