Il verbo di una donna

Incide, conta, influisce, determina, cambia, ispira, media, migliora. Sono esempi, l’elenco è lungo.


Quando la donna è la compagna di vita di un uomo, che è anche a capo dell’impresa, e lavora a fianco o con lui, quanto può influire sulle decisioni e la gestione dell’impresa?
Se sul lavoro si vivono situazioni concrete, l’opinione diventa dato, certo non assoluto. Ma vissuto sì.

La giornata lavorativa prendeva la piega in base a come Lei (la chiameremo così) apriva e richiudeva la porta di accesso all’openspace. Open per quasi tutti, un ufficio per Lei, un ufficio per Lui.
Ci sono alcuni fattori predominanti che l’esperienza ricorda: l’umore, la qualità delle loro sere o notti precedenti al giorno, gli errori grossolani nella scelta dell’abbigliamento per andare in banca a discutere con il direttore, la mole di lavoro o di grattacapi che immancabilmente Lui rovesciava sulla scrivania della compagna.

E poi c’eravamo noi. Un po’ come a scuola, simpatie e antipatie, la bravura o la inefficienza contavano poco. Non è facile gestire con equilibrio le risorse umane, quando due persone sono una coppia.

Da un personale punto di osservazione, sono rilevanti due aspetti: la gestione delle risorse umane in quanto team, la gestione delle risorse umane in quanto donne.

Nel primo caso, l’equilibrio della coppia è fondamentale. Il luogo di lavoro non è la casa, la famiglia. Potrebbe assomigliare, è invece un errore in partenza. Stabilito che ciascuno dei due ha competenze e ruoli diversi, è fondamentale che si allineino in un’ottica di obiettivi condivisi per la crescita aziendale. Se questo non accade, ed è pure condito da discussioni a cielo aperto, da poco rispetto l’una per il lavoro dell’altro, chi ne soffre, e di conseguenza perde, è il gruppo, l’Impresa. Il team viene disorientato, il lavoro diventa un gioco al massacro di fare e disfare, preziosa economia di gestione di tempi e modi che va in fumo.
A fine mese, anticipi e ricevute bancarie facevano – o fanno – la differenza, ansia di non ricevere lo stipendio che la data fissa non ricordava ci fosse, fornitori che bussavano con mail e telefonate, l’acquisto di tecnologia indispensabile per la crescita e la sicurezza che restava un laconico “faremo”.

Donne, le donne. Sono sempre stata fiduciosa che l’invidia, la competizione fine a se stessa debbano lasciare il posto all’intelligenza. Non sempre. Quando Lei perde il focus più importante, che è la crescita globale dell’impresa, di risorse umane che la fanno vivere, perde credibilità, carisma, attenzione.
Ricordo un libro, “L’arte della guerra per donne” scritto da Chin-Ning Chu, americana di origini cinesi, che ripropone il testo di Sun Tzu “L’arte della guerra”, da lui scritto duemila e cinquecento anni fa in Cina.
Ancora attuale? I pareri sono diversi, come è giusto che sia. Nulla è vangelo, ma può essere di spunto per le donne, nella analisi puntuale dei conflitti e dei rimedi.

Trovare il Verbo per dirimere o significare questo aspetto di convivenza, oggi più che mai attuale, anche per la situazione economica che stiamo vivendo, non è facile. Il rischio è di cadere nella banalità o nei luoghi comuni.

Luoghi comuni, vediamolo sotto un altro aspetto questo modo di dire: assumiamoci le nostre responsabilità, donne e uomini, ricordando che lavorare non è apparire, non è una gara di estetica, non è buttare tempo a crearsi film mai sceneggiati, non è una sceneggiata. Si vive per lavorare o si lavora per vivere? Si lavora per far parte, per crescere figli o l’autostima, per far girare l’economia, non la testa.

Quella deve rimanere ben attaccata al collo, perché, come diceva mia madre: ”Dal collo in su, tutta testa.”

Buon lavoro a tutti.