Scivola un viaggio che sa dove porta.

Il treno confonde i contorni del lago velato di nebbia. Lago silenzioso, il sole ancora non ha fatto brillare. I pensieri viaggiano su binari che portano all’acqua. Acqua conosciuta, vissuta d’infanzia, dove una rotella di liquirizia la felicità srotola.

La chiesa di fronte, la vecchia latteria separa la calle. Un salto a piè pari su pietre vissute da cuori diversi.

Venezia.
Un profumo, l’arrosto di nonna, patate croccanti, così. La bambina ora è donna, madre. Accudisce. Il treno si incurva, la montagna scompare, la pianura si svela. Si scende, accelera il cuore. Il cuore aspetta, si aspetta. Il cuore domanda, si domanda. Il cuore è leggero, non cerca risposte. Cerca riflessi.

Venezia.
Sarà passeggiata tra i campi d’ infanzia, sarà gradino, sarà un gelato, sarà gusto. Il gusto di Nico. L’incanto è l’attesa. L’incanto è sentirsi. Le nuvole profilate di rosa, laggiù, la laguna. Sta arrivando. Con un tempo di per sé galantuomo, salirà, alto.

Il sole.

Immagina l’attimo che la vita non dice. Immagina, lascia al tempo la risposta da dare. Per una e una sola volta la libertà urla. La liberà di non pensare. La libertà di non frenare.

La libertà di essere.
Essere ed esserci.

Venezia, la mia.

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