Ciò che rimane.

Mi siedo su di una panca a metà corridoio, secondo piano, caldo.
Mancano due sale, poi la visita alla mostra si conclude.
Si avvicina alla panca, si siede e accomoda la sedia a rotelle perché lei lo possa guardare negli occhi. Stanno in silenzio per un po’, si sorridono. Lui la guarda, insistente, attento. Lei è seduta su un futuro che non cambierà. Un futuro che non è nemmeno elettrico, la forza delle braccia di lui la fanno viaggiare nella vita. Li guardo, non ce la faccio. La mente si riempie di pensieri velocissimi, i “soliti” che emergono quando la disabilità è ad un centimetro.

I soliti… brutta espressione, ma è così. Lui apre il borsello, prende un fazzolettino di carta e le asciuga il viso appena sudato. Ammirandola, le scosta con una dolcezza non descrivibile un ciuffo che disturba la bellezza del volto. Lei ringrazia con il silenzio. La mano di lui accarezza i suoi capelli, li accomoda, li scalda. Osservo questo Amore infinito e non riesco a staccare gli occhi. Parlano sottovoce ed è melodia, le parole scivolano come un canto.

Mi trafigge la tenerezza di lui nel domandarle se ha sete, fame, se è stanca. Stanca… seduta sulla sua immobilità. I sentimenti non hanno forma o apparenza, sono e basta. Mi scendono due lacrime, giro la testa, io che cammino sono in difficoltà. Mi chiedo se sarei in grado di accompagnare una amore così, uno, unico. Della mostra non posso ricordare nulla.

Solo loro.

Pierre Auguste Renoir, Mademoiselle Irène Cahen d’Anvers (La piccola Irene),1880.