Dedicato a chi questo urlo ha dentro.

A mio padre

Batte i pugni sul tavolo. Si strofinano tra loro dita grosse, quasi volessero confondere l’ordine.

Unghie larghe, curate, lucide. Con il dito indice ripassa cento volte la piega dell’orecchio, scivolando verso l’ultimo riccio di capelli grigi.

Seduto nella poltrona di quando era ragazzo, si accosta alla libreria, scorre a mano aperta un pianoforte di libri, una tastiera di curiosità e conoscenza.
Si ferma, un dorso rosso, inciso in oro. Estrae una prima stampa, Milano,1960. Racconta di fucili a canne mozze.
Il libro si sfoglia sotto occhi velati, accolto da mani non sicure.
Si chiude, con un colpo secco, il ricordo di uno sparo.

La caccia portava inaspettati, colorati fagiani da pulire, foto in bianco e nero, opache come un tempo ormai finito.

Un gesto fulmineo e la camicia si strappa, dondola un brandello del polsino, appena stirata.
Con cura, ogni giorno, il corpo che non risponde alla quotidianità, viene accudito, profuma di bianco.
La manica perde consistenza, la pelle del braccio sanguina. E’ un sangue che non fa male, silenzioso, insensibile.
Ripetitivo, maniacale, doloroso per altri, un sollievo per lui che non riesce a fare ordine.

Ordine, nella sua testa non c’è ordine. Eppure gli occhi sono belli, opachi, ricordano il verde della salute passata, il rosso di ciglia che sorridevano sempre.
La camicia è da cambiare, non può stare così.

Disordine, un grande disordine lo affanna. Prende il cuscino che scalda un ventre appesantito, lo annusa.
Cosa cerca questa anima in subbuglio?
Il profumo di mughetto? O quello dell’età adulta, un Numero Cinque mai finito?
La boccetta è tra i suoi libri. Ricorda la presenza di lei svitando appena il tappo, sennò lei se ne va, di nuovo.
Con lei se ne è andato anche l’orizzonte. E’ morta, lasciandolo solo, lasciando che il suo cervello impazzisse, di un dolore che annienta l’equilibrio.

Le unghie incidono la carne, insensibili al leggero tessuto del pantalone da casa. Come rami di un albero senza tronco, né radici, rigano cosce malferme.
Un piede tiene il ritmo incessante di giornate senza senso, frenetico su qualsiasi superficie, invadendo tutto il corpo con una danza muta.

Le braccia raccolgono un capo stempiato, inizia un mulinello di gesti, piccole ferite segnano la pelle.

Il calore diverso di una mano lo acquieta. Si incrociano sguardi, padre e figlia.

Una carezza riporta un po’ di pace.

Due passi in terrazza fanno bene, vediamo se la buganvillea è tornata alla…

… vita”.