L’uomo osserva l’aridità dei campi, quando la pioggia ritarda il cammino.

Ha una sua storia.

 

Le distese sono secche, screpolate le zolle. Formano strade di sete, curve di stanchezza, angoli di cui nulla sa. La siccità disumana l’anima che non ricorda colori, il verde della vita, il giallo della natura che esplode, l’arancio del fiore che segue pacato il sole ogni anno. Campi affiancati ad altri campi, si guardano distratti dal loro scricchiolio. Si ascoltano , perdendo rumori e melodie che riecheggiano nell’ aria.

Ingannano la vista a guardarli dall’alto. La distanza chiude le ferite, i crepacci, lunghe scie colorano un nero senza respiro. Appare una scacchiera il cui ordine si sfalda solo a toccarla. La profondità è sotto un fragile strato infecondo, umida, calda, profumata di buio. In questo turbamento scuro, un fiume limpido si mescola a detriti. Il rumore ovattato dell’acqua danza, si fa strada, culla frammenti. Manca l’aria. la zolla ha bisogno di aria, il fiume ha bisogno di aria.

 La fragilità di un uomo si siede al confine di un campo. La polvere lo accoglie, tra le dita. L’uomo stropiccia le mani, osserva. E’ parte di un infinito bisogno di appagare la sete, la pelle dell’anima accartocciata. Attende inerme il cielo, il tempo non ha valore. La zolla del suo vivere ha in seno fiume, vita, aria. Il campo diventa tutt’uno con il suo corpo, si adagia. Incontra l’azzurro, un dialogo muto. E’ da lì che può dissetarsi, se solo capisse.

Un’ombra distoglie. La stagione del freddo la rende inospitale, l’arsura estiva la accoglie benefica. Gli occhi dell’uomo si riposano nella frescura che traccia indefiniti mulinelli. Richiama la vista dell’uomo, zolla nella zolla. Il remolo si fa nuvola ed inizia a raccontare. Ride, cambia forma, interroga, scava nel silenzio dell’uomo. Lui ricorda altre nubi che si sono dissolte, asciugate, disperse. Il loro grembo non lo hanno appagato.

Portata dal vento, ha diverso profumo, lo avvolge. Anche la terra profuma. I sensi si risvegliano ai suoni che fanno girandola. L’animo impigrito dal tempo si mette in ascolto. Si può rispondere ad una nuvola? Non cerca risposte la nuvola. Le avrà, quando la goccia nutrirà i corpi. Il bianco che la veste lascia spazio pian piano ad un benefico grigio. Sfumature d’argento preannunciano uno squarcio di luce che rimbomba nell’aria. L’uomo si alza, le zolle disegnano un corpo. Un manto di stille gli disseta il viso, cancella la figura incisa nella terra. La diffidenza dell’uomo lo abbandona, la fiducia lo abbraccia. Se ne veste. Zuppo, passa la mano sulla terra, bevono insieme il sollievo alla sete.

Il seme lasciato infondo alla tasca trova ristoro, il campo si fa terra accogliente.

Saranno frumento e pane.

 

Vincent van Gogh – Seminatore al tramonto – 1888