Distruzione e rinascita

Foto di mio padre, Vajont 9 ottobre 1963

Tre album di foto mai rese pubbliche, foto di vita, di costruzione, di strazio, distruzione, dolore.

Lo stropiccio della carta velina separa, come una vibrazione sonora, immagini di una Longarone serena dei primi del Novecento, le prime auto, i primi trattori, cavalli assonnati e gruppi familiari in posa tra filari di alberi da frutto.

Ed ecco incollate le prime foto di operai curvi, sospesi sulla roccia a costruire una diga, la torta di compleanno del piccolo di famiglia, il paese con la neve, i fiori e poi il fango. Tanto fango.

Mai come oggi ritorna l’angoscia celata dentro la parola distruzione. Dietro c’è sempre la mano dell’uomo.
Nascita e morte coesistono come natura vuole, non come uomo impone.

Tra centinaia di scatti, l’incertezza aveva posato lo sguardo sull’immagine di due sacerdoti, quelli di un tempo, di nero vestiti fino ai piedi, intenti ad osservare il campanile rimasto orfano della chiesetta all’ingresso del paese.

Poi un albero straziato, a cui la furia dell’incoscienza umana aveva attorcigliato ogni speranza.
La picozza di mio padre era a fianco, quasi a custodirne il ricordo. 9 ottobre 1963.

La primavera del 1964 fece il miracolo, la picozza piantata a fianco urlava che la vetta era stata raggiunta: quel tronco straziato aveva avuto la forza di rinascere.
Foglie primaverili proteggevano con pudicizia le ferite.

Marzo 2022, che alberi e foglie possano debellare l’arsura umana, possano conquistare l’acqua dalla terra e la luce dal cielo.